MESSINA DENARO - “IO NON SONO COSA NOSTRA”

di Viviana Sammito

“Io non sono cosa nostra”, potrebbe essere il titolo per definire il perfetto paradosso: l’ultimo padrino arrestato il 16 gennaio scorso nega di appartenere a cosa nostra e di apprenderlo dai giornali ma in 30 anni di latitanza per tutti in realtà non solo lo è stato ma ha rappresentato una figura apicale. Mi chiamo Matteo Messina Denaro, lavoravo in campagna ed ero un agricoltore. La residenza non ce l’ho più perché il Comune mi ha cancellato. Ormai sono un apolide. Le mie condizioni economiche? Non mi manca nulla. Avevo beni patrimomiali ma me li avete tolti tutti. Se ancora ho qualcosa non lo dico, mica sono stupido”: Queste le prime dichiarazioni ufficiali rese dal boss nell’ambito dell’interrogatorio, del 21 febbraio scorso, al Gip Alfredo Montalto e dal pm Gianluca De Leo depositato oggi nel procedimento penale in cui il capomafia risponde di estorsione aggravata nei confronti di Giuseppina Passanante, figlia di un prestanome di suo padre. Nega di averla minacciata sostenendo di aver solo rivendicato un diritto, quello di avere il suo terreno dopo avere scoperto che la donna lo stava vendendo. “Ognuno – ha dichiarato – risponde con la propria dignità di quel che fa” e poi spiega che il terreno è stato comprato da suo padre nel 1983 ed ha chiesto ad Alfonso Passanante se poteva fare il favore di intestarsi questo bene, e l’uomo ha accettato. I beni sono stati ipotecati da alcune banche, per vicende dei prestanomi che – ha sottolineato – a me non interessano ma negli anni i profitti sono stati intascati dalla figlia del prestanome. Ha dei soprannomi? ha chiesto il magistrato: “Mai me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi”, risponde il boss che dai suoi era chiamato U siccu e Diabolik.

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